Questo blog è associato al sito http://www.alelep.it/.Vuole essere uno spazio di dialogo sulle prospettive che sembrano aprirsi a livello educativo e didattico in seguito alla "rivoluzione filosofica" operata dal cosiddetto web 2, nonché sul futuro del libro, oggi in un'epoca di transizione.Vuole essere inoltre uno spazio di affabulazione, libero da obiettivi precisi, in cui divagare avendo come unica bussola la propria ispirazione.

giovedì 3 novembre 2011

Né arte né parte!

''Io non capisco, davvero. Non riesco a comprendere come tu possa aver preferito lui a me. Veramente, lui a me! Lui, un beduino super gonfiato la cui più ampia visione del mondo si riduce a maionese ed igiene dentale, io, una mente brillante di grandi orizzonti stimata da tutti: professori, amici, colleghi, puttane, psichiatri. Non riesco a farmene una ragione'', diceva tenendo un bicchiere di birra in mano. '' Val, per l'amor del cielo, siamo qui per parlare di lavoro, non tirare in ballo vecchie storie, è imbarazzante'', rispose Alice sottovoce. ''Hai ragione, hai ragione, siamo qui per affari. Quindi, vuoi che ti aiuti con il tuo progetto? Ma perché proprio io?'', chiese Val sorseggiando con nervosismo la sua bevanda. ''Perché è il tuo, è il tuo, sei l'unica persona che può essere in grado di fare questo lavoro come lo voglio io'', affermò Alice con tono pacato. ''Va bene, hai ragione, me lo sento, ci credo, sono convinto. Io veramente non riesco a crederci, lui a me! Quel finto Rocky di periferia, cosa mai hai trovato in lui che non avessi io? L'ignoranza, ecco! Io io, io veramente sono sconcertato, vi ho pure beccati!'', sosteneva Val sempre più nervoso. ''Non ci hai beccati, per quanto ancora pensi di continuare?'', rispose Alice perplessa. ''Come no! tornai a casa prima del solito per festeggiare il nostro anniversario e mi aprì la porta un moro muscoloso che indossava il tuo accappatoio! Pensavo io, ma non abbiamo affittato una camera ad un amico gay! E infatti mi stese con un pugno alquanto carico di mascolinità e fuggì. E tu! Tu che facevi la gnorri dicendomi che aveva sbagliato! Che cercava le terme! Dio, la faccia tosta che hai avuto'', disse Val alzando leggermente il tono di voce. ''Va bene, io me ne vado. Ci sentiamo Val, prenditi una delle tue pillole tra la farmacia che ti sei creato in casa prima di vedermi la prossima volta'', sussurrò Alice alzandosi lentamente dalla sedia. ''No, no, aspetta, rimani, siediti. Stavamo parlando del tuo progetto no? Allora, ho delle buone idee in testa, otterremo grandi risultati. Ma perché, perché non ha funzionato tra di noi?'', chiese Val. Alice:'' Perché eri diventato un paranoico asfissiante. Ti era venuto il bruciore alla pancia, ma non risultava avessi nulla, nemmeno inficcandoti un tubo nello stomaco sono riusciti a trovare qualcosa. E poi i giramenti di testa, il sentirti lontano dal tuo corpo, la gelosia ossessiva nei miei confronti! Volevi che andassi in giro rasata e mettessi una parrucca rossa per stare in casa con te!''. ''Lo sai che il rosso mi stimola particolarmente, lo facevo per sfogare le nostre fantasie erotiche!'', ribatté Val sconsolato. ''Non le nostre fantasie, le tue! Sei un misantropo perverso, e sei un genio con le parole, altrimenti come avresti fatto a convincermi a farti un pompino alla comunione di nostro figlio?'', chiese Alice ormai diretta verso l'uscita del bar. ''Ma, aspetta, non andare, dobbiamo finire di parlare del progetto!'', cercò di spiegare Val. ''Non oggi, non ora, non qui. Ci sentiamo Val, cerca di non farti venire i soliti attacchi di panico stanotte'', rispose Alice uscendo dal locale. ''Ma lo sai che ho paura di dormire da solo!'', urlò disperatamente Val ancora seduto al tavolo. ''Gesù, ora cosa faccio, sono le cinque, ed oltre a non avere nessuno con cui parlare, mi manca anche il respiro. Andrò a fare due passi'', pensò Val mentre pagava il conto alla cameriera. Il pover'uomo uscì dal bar e si diresse verso casa, lontana appena due isolati. ''Devo calmarmi o finisco per avere un collasso. Respira Val, respira profondamente. Non succede niente. Ma con Alice ho sbagliato io? Cos'è andato storto? É stata mia moglie per dieci anni, e dice di avermi sopportato per gli ultimi cinque. Certo che ce ne siamo fatte di risate insieme. E abbiamo dato alla luce un figlio meraviglioso, brillante, acuto. Forse è così che deve andare fra un uomo e una donna, si sta insieme finché uno dei due non vede nell'altro solo difetti ed errori. Nei tempi felici tutti gli aspetti negativi di una persona sono accecati dall'amore. Questo sentimento credo che funzioni proprio come funzionano le tappe della vita: la fase infantile, in cui il bambino crede nelle favole e si lascia condizionare da qualsiasi storia gli venga raccontata; la fase adolescenziale, in cui il ragazzo matura una certa consapevolezza vivendo però ancora nel mondo dei sogni con una certa intensità; e la fase adulta, in cui l'uomo capisce che non si può vivere di favole, e le rinnega, tutte, dalla prima all'ultima, e diventa pienamente cosciente di aver passato troppo tempo della propria vita ad inseguire un sogno, a credere in un sogno. Così l'amore nasce in maniera infantile, cresce nel canale adolescenziale e si spegne definitivamente nel mondo adulto, quando ormai le favole diventano solo un ricordo lontano. E per quanto mi riguarda, sono rimasto bambino'', si disse tra sé e sé Val camminando con passo lento e pesante, ''ma che ci posso fare, ancora mi piace quando fuori c'è la neve, ed io la guardo cadere lenta mentre gira su se stessa, e sogno, e immagino, e fuggo da qui''. Val era ormai arrivato a casa e stava cercando nelle tasche dei pantaloni il mazzo di chiavi, quando squillò il cellulare, era Mickey: '' Ehi Val, come stai? Ascolta, stasera siamo tutti a cena da Allen, alle otto ci troviamo davanti a casa sua, ci sarai?'', ''Credo di si Mickey, ma non mangerò tanto perché mi sento già un po' appesantito e non vorrei succedesse come l'ultima volta'', rispose Val un po' dispiaciuto, ''Non ti preoccupare, niente pesce stasera, sappiamo che ti da fastidio allo stomaco, a più tardi'', terminò la conversazione Mickey. Val cambiò immediatamente destinazione, dirigendosi verso la fermata del tram più vicina nella zona. Accelerò il passo, superò il negozio di alimentari che faceva angolo in fondo alla via seguendo il marciapiede che costeggiava la linea rossa, e si fermò ad un tratto di fronte ad un negozio di dolci che stava per chiudere, e decise di entrarci. ''Salve, può darmi una torta al cioccolato?'' chiese Val, ''Certo, ce ne sono rimaste due, fondente o al latte? Scusi? Fondente o al latte? Signore?'', continuava il pasticcere. Val si era incantato, o meglio, fissava con sguardo intenso una ragazza seduta sul tavolino vicino al bancone: ''Che creatura meravigliosa, che bei lineamenti, ce la vedrei bene distesa sul mio letto nuda, a farmi i grattini alla schiena'', pensava Val mordendosi il labbro inferiore. ''Signore la vuole la torta o no?'' insisteva il pasticcere vicino alla perdita di pazienza, ''Si certo certo, mi scusi, fondente'', rispose Val tornando nel mondo reale. Prese la torta e uscendo dal negozio lanciò un ultimo sguardo alla ragazza nella speranza che lei ricambiasse, ma non lo considerò. Riprese quindi il tragitto che lo avrebbe portato alla fermata del tram: ''Che strana l'immaginazione, allontana completamente da quello che è il mondo della realtà'', pensava cercando di tenere dritta la torta al cioccolato, ''trascina in una dimensione di pura finzione, quasi teatrale, a volte eroica, a volte imbarazzante, altre invece deprimente, ma quanto è dolce ed intimo viaggiare con la mente. Passerei le ore, a costruire film fantastici su ciò che vorrei essere, su ciò che vorrei mi capitasse, e sto bene, mentre guardo queste pellicole immaginarie, mi sento bene. É un peccato vivere nella realtà, ma non si può fare altrimenti''. Arrivò finalmente alla fermata, prese il tram e scese alla quinta, la casa di Allen era lì, proprio davanti alla banchina. ''Ciao Val! Sei in orario, complimenti! Con te siamo al completo, direi di suonare ed entrare!'', disse Mickey spingendo il dito sul campanello. ''Buonasera ragazzi! Entrate, sto preparando un primo piatto tedesco, la ricetta me l'ha portata Emily che è tornata oggi pomeriggio da Berlino!'', disse Allen aprendo l'uscio, ''appoggiate pure i cappotti e le borse in salotto e raggiungetemi in cucina''. Gli invitati seguirono il consiglio: ''Prendete posto a tavola, è quasi pronto, manca veramente poco'', suggerì il padrone di casa. Ognuno prese il proprio posto, aspettando che venisse servito il primo piatto. ''Ragazzi ho una novità. La casa editrice che vi dicevo la volta scorsa ha apprezzato il mio libro, lo pubblicheranno il mese prossimo'', esordì George con tono soddisfatto. ''Complimenti! Come hai fatto a fregarli ancora?'' chiese ironicamente Val, ''complimenti George! A quando la presentazione?'' chiese Mickey in toni allegri, ''questo non lo so ancora, ve lo farò sapere il prima possibile'', rispose George. ''Ma di cosa parla?'', domandò Emily mentre versava il vino rosso in ogni bicchiere, ''è un romanzo che tratta d'amore, morte e illusione, con una taglio sarcastico e pungente'', affermò George sorseggiando dal bicchiere. ''Puoi anticiparci qualcosa in maniera più dettagliata?'', chiese Allen appoggiando la pentola bollente nel centro della tavola, ''lui ama lei, lei ama l'altro, e l'altro è quasi sempre il migliore amico di lui, il fatidico triangolo amoroso. L'amicizia tra i due è quindi rovinata dalla rivalità fino a quando la protagonista non muore, allora i ragazzi si riavvicinano per affrontare insieme il dolore che li divora dentro; questo è il succo della storia per farla breve'', disse George, ''Beh, l' apice dell'originalità devo dire, per caso c'è anche qualche bacio sotto la pioggia o qualche scazzottata? No, perché un libro non può avere successo senza questi avvenimenti trionfanti'', asserì Val. ''Dove vuole arrivare il tuo pungente sarcasmo Val? Cosa vuoi dirmi?'', chiese George un po' infastidito. ''Mi chiedo come un romanzo di questo genere possa essere stato solo preso in considerazione da una casa editrice. Voglio dire, senza offesa, ma mi sembra una storia scontata, la solita soap opera cartacea che deve vendere, allontanandosi completamente da qualsiasi forma d'arte'', dichiarò Allen. ''Spero che la tua sia solo invidia, perché non stai facendo un discorso intelligente'', ribatté George. Val: ''Chiamiamo arte allora ciò che deve essere commerciale, e facciamo prima. Ormai non esiste più l'arte, è andata morendo con il tempo. Conoscevo un tizio, di nome Dante Alighieri, vissuto a cavallo tra il Milleduecento e il Milletrecento, scisse la ''Divina Commedia'', e aveva un amico, Guido Cavalcanti, che compose le ''Rime''. Eh caro George, lì si che c'era arte''. Allen: ''Io mi ricordo di aver incontrato un certo Rimbaud, in Francia, nel Milleottocento, aveva scritto un poema romantico dal titolo ''Una stagione all'inferno'', ma non era solo: con lui c'era Verlaine che teneva sotto braccio i ''Poemi saturnini''. Forse di arte ce n'era anche troppa.'' ''Aspettate aspettate, ho avuto anche io un incontro ravvicinato del terzo tipo: Italia, metà Novecento, Calvino e Pavese con ''Se una notte d'inverno un viaggiatore'' e ''La luna e i falò''; non ce n'era di arte eh?'', disse Mickey. ''E ora? Dimmi George, dimmi in questo mondo di ladri, quanta arte si può annusare, si può gustare; forse i fast food'', disse Val. ''Tutto è così contingente che non ha senso parlare delle glorie passate paragonandole alla situazione odierna. Invece che vivere di malinconia Val, perché non cerchi di cambiare le cose? Perché continui a lamentarti e crogiolarti nel disgusto mentre questo mondo va in fiamme? Agisci, non parlare e basta'', rispose George. ''Sai, non si può più fare la voce fuori dal coro. Non è più possibile vivere con l'arte, l'uomo è troppo avido oramai. E mi dispiace, quando guardandomi intorno vedo solo mafia e prostituzione, solo superficialità e tecnologia. Ma cosa posso fare, se non allontanarmi e creare il mio mondo, lontano da tutto questo, forse, con la speranza che almeno lì qualcosa vada per il verso giusto. Ora mangiamo George, perché come hai detto tu, le parole sono come pugnali di plastica, non pungono, e non feriscono.''


Mr.Spens

mercoledì 7 settembre 2011

Perchè diventare consapevoli, vuol dire crescere.


Era una giornata piovosa, di metà settembre, e Val, reduce dalla lezione di filosofia teoretica, sedeva a gambe incrociate sul balcone di casa sua, mentre tutto intorno a lui taceva. Stava cercando ad ogni costo di saziare quell'insostenibile voglia di fuggire. Camminava su e giù per la stanza ossessionato dal pensiero di non poter riuscire a trovare un senso alla propria vita. S'immaginava nelle vesti di un commercialista, di un medico, di un avvocato, di un segretario, ma nessuno, nessuno di quegli abiti sembrava stargli bene. Alcuni erano troppo stretti, altri smisuratamente larghi, di qualcuno non gli piaceva il colore, di altri non ne apprezzava la forma. E allora l'abisso. Il nulla più totale lo inghiottiva in una dimensione di incondizionato cinismo e spregiudicato scetticismo. Ogni cosa intorno a lui appariva come una forza ostile e malvagia, crudele e tiranna. Eppure sapeva di dover prendere una decisione, perchè il tempo, da sempre,non aspetta mai tanto a lungo. Allora aprì l'armadio, prese a caso un paio di pantaloni e una maglietta, si cambiò, e uscì, senza salutare. Nemmeno lui era consapevole del dolore che si portava dentro, o forse si, forse lo sentiva, forse una parte di lui ancora piangeva, ancora soffriva, ma la ignorava. Salì in macchina e partì, senza una destinazione precisa, con la sola voglia di sfogarsi, in qualche maniera. Il rumore delle gocce d'acqua che s'infrangevano sul vetro risuonava nella testa di Val che niente poteva se non immergersi completamente nelle più tetre e lontane perdizioni della sua indole, abbandonando la realtà al suo insofferente decorso. Pensava alle passate stagioni, alle vecchie storie d'amore, ai mancati successi, alle nuove sconfitte. Pensava all'ingiusto presente, all'asfissiante pressione di trovare un perchè. Pensava al misterioso futuro, all'imprevedibile caso, all'interminabile voglia di prendere forma. Si alienava inesorabilmente in se stesso, ma perdendosi in quel caotico cosmo della sua anima, capì che si era trovato. Si rese conto di custodire tra le mani un bene prezioso: la vita. Di averne solo una, di poter godere solo una volta di questo misterioso ma grande privilegio che è l'esistenza. Allora perchè, si domandò, non affrontare la realtà prendendola per mano, come una cara amica, e comunicare con lei per costruire insieme ciò che sarà di lui. Così, dissolta la nebbia di quei pensieri che urlavano e impazzivano nella sua testa, decise di fermarsi, e di tornare indietro, con il sorriso.

Mr.Spens

giovedì 3 febbraio 2011

Incontro

Serena si sistemò sullo sgabello e Thomas, ripresosi dallo stupore, cercava un modo per rimediare alla premessa non proprio brillante. - Prendi qualcosa da bere? - decise di non esordire con una presentazione, troppo banale, ne tantomeno scusandosi  per la defaiance iniziale, troppo infantile. Il suo ragionamento ricordava nostalgicamente goffi personaggi dai brufoli puerili, alle prese con i primi appuntamenti, quando le parole si misurano con minuziosità estrema per incorrere nel giudizio positivo del temuto interlocutore. Con il tempo e l'esperienza l'inconveniente dell'impreparazione passa, cedendo il posto alla sicurezza, che in alcuni casi rimane tuttavia ancora ostentata. Il nostro è uno di quei casi. Serena se ne accorse, ma stette al gioco per divertirsi un po', l' uomo in fondo la incuriosiva e non voleva lasciarlo senza scoprire cosa celasse dietro quella maschera improvvisata. - Un Porto - ordinò, guardandolo negli occhi sorridendo. Thomas era certo d'aver fatto centro con l'abile mossa. - Cosa ti ha spinto ad avvicinare uno qualsiasi degli uomini in questo posto? - le domandò. - La fuga dalla noia e dalla solitudine della sera, credo. - rispose la ragazza con un tono vago, per testare la reazione di Thomas e stabilire se fosse un caso senza speranze o meno. - Capisco - asserì lui, senza farsi sconfortare dall'affermazione, che anzi, per affinità di condizione, gli donò un nuovo vigore. Arrivarono i bicchieri e i due cominciarono a conversare amabilmente. Thomas scoprì che Serena era una studentessa di Arte, che frequentava l'Accademia di Belle Arti della città e che abitava in un piccolo appartamento poco distante da lì, condiviso con una studentessa straniera. - Un'artista dunque. - fu il commento di Thomas, che era felice di poter discutere con qualcuno che non avesse cucita addosso l'etichetta dello snobismo altolocato di certe ragazze. Serena d'altra parte, fu sorpresa nell'apprendere che l'impacciato uomo che le stava di fronte fosse un giovane freelancer, e che ora si stesse occupando di un pezzo di cronaca nera piuttosto famoso, seguendo le indagini a diretto contatto con la polizia, grazie all'influenza di alcune conoscenze all'interno delle forze dell'ordine. - Cosa ti ha spinto a fare il giornalista, dopotutto la paga è una miseria e il lavoro è duro.- disse Serena. - Sono sempre stato un tipo curioso, e adoro scrivere. Lavorare sulla realtà mi permette di conciliare le due cose. Sono alla ricerca della Verità, bellezza troppo rara da ammirare oggi. - Interessante, - replicò Serena - abbiamo lo stesso fine, siamo due inseguitori del vero. -. Così gli parlò della sua interpretazione della verità nell'arte, della possibilità d'intuire universi dalla potenza rivelatrice di un'immagine. Thomas la ascoltava estasiato e rispondeva a modo ad ogni sua acuta argomentazione. Andava recuperando la sua sicurezza, e la stessa gli aveva lentamente sfilato la maschera lasciando il volto scoperto, cosicchè Serena potesse osservarlo in tutta la sua sincerità. Il dialogo tra di loro era d'una naturalezza morbida, ed entrambi, al contrario del comportamento tenuto da molti in occasione di un nuovo incontro, che , vuoi per carattere e timidezza o per calcolo, vestono i panni di qualcun altro, si esposero per quello che erano. Una Donna e un Uomo. La disarmante genuinità di Serena non aveva lasciato spazi alle armi di difesa della schermaglia amorosa. Entrambi erano limpidi, nudi l'uno di fronte all'altro in tutta la loro fragilità e grandezza. Forse fu proprio questo a rendere inusualmente autentico il loro incontro. Si dice che il Tempo abbia da fare un gran lavoro nello smascherare il falso, ma quella sera se ne stava a braccia conserte a osservare quei due, senza tessere i suoi intrighi. Thomas propose di andare a fare una passeggiata, così pagarono, salutarono il barista e uscirono. Faceva freddo e si strinsero l'uno all'altro, procedendo a braccetto e disquisendo della vita, dell'amore, di tutti i problemi che affascinano l'uomo dagli albori della sua storia e non hanno mai trovato risposte soddisfacenti, fino a casa di Serena. Accadde il naturale proseguimento di ciò che era nato e la storia si scrisse da sola. Salirono le scale scambiandosi battute vicendevolmente, poi, mentre Serena era intenta ai fornelli per preparare qualcosa di caldo, la mano di Thomas che fino a quel momento si era trattenuta al proprio posto, scivolò delicata e decisa sul corpo di lei, arrivando a cingerle la vita. Serena si dimenticò dell'acqua che stava bollendo e si abbandonò tra le braccia di Thomas, ai baci di velluto che le sfioravano il collo. Godettero una notte d'amore intensa. La nudità richiamata tutta sera si palesò in tutta la sua provocante bellezza, tra la gioia degli amanti. Gli occhi che non si erano mai dati tregua e cercavano e incalzavano e scavavano oltre i vestiti, oltre i corpi, ora potevano osservare l'armonia sensuale di quei corpi bellissimi, che si possedevano assaporandosi immensamente. Serena teneva stretto il corpo virile di Thomas tra le cosce bianche, e gli occhi si affacciavano ardenti di desiderio direttamente sulle loro anime, che respiravano insieme a ritmo.
Dormirono abbracciati. La mattina presto Thomas si rivestì e uscì per recarsi in redazione. Dopo aver scostato dalla fronte i capelli profumati di Serena, ancora addormentata e che distesa sul letto si confondeva con le languide lenzuola, le diede l'ultimo bacio. Si lasciarono così, senza sapere l'uno il nome dell'altro ma potendo riconoscere il loro respiro tra mille.


Dr.Sax

mercoledì 2 febbraio 2011

Eclissi dell'anima..

Dondolava
senza sosta,
senza tregua, su un'altalena di legno,
spinta dal vento in una giornata di neve,
di un momento in inverno. E dolci e leggeri i fiocchi
si perdevano tra i lunghi capelli castani,
come in un labirinto di finissime alghe,
e andavano soffrendo,
mortali,
nell'immediato sciogliersi di un attimo.
Così sussurrava al tempo
fragili illusioni, e delicate speranze,
d'un'età confusa, d'un'ora che fugge,
d'un gabbiano che vola.
Intorno l'impronta di un mondo
che non sapeva di vero,
il suono di una nota stonata,
l'orrore dell'uomo crudele.
E lei pativa,
per un amore tradito,
per un sogno proibito.
Ma dondolava, senza ragione,
senza timore,
tra le ceneri di una vita che forse non sa,
di essere preda del tempo che corre.

Mr.Spens

lunedì 31 gennaio 2011

Wherever you will go..

Ale era un poeta. Aveva la strordinaria capacità di guardare il mondo da un punto di vista magico, di inventare lontane realtà e di creare con le parole dimensioni straordinarie. Lottava per un credo: quello dell'artista. Chicco nutriva una passione sconsiderata per la storia, quella contemporanea per la precisione, e amava discutere riguardo faccende politiche. Possedeva una grande dote: sapeva parlare, parlare e convincere. Fede si divertiva a tenere sotto controllo il bilancio economico della famiglia, e allestiva con dedizione una svendita di beni  per ricavarne un cospicuo profitto. Tra calcolatrici ed assi cartesiani, inseriva però letture di grande livello letterario.  Fabio camminava narrando sul movimento dei piccioni con l'obiettivo di trarne un algoritmo, era a caccia di logica, ma più volte riusciva a staccarsi dalla terra dei numeri per volare sulle ali della fantasia. Tino viveva di sogni, succhiava dall'immaginazione ogni forma di piacere, si lasciava trasportare sconsideratamente dai desideri, ma era anche in grado di affrontare l'ambiente più concreto. Tommy era un personaggio. Una mente molto acuta, davvero ammirevole, che si perdeva però troppo spesso negli abissi del pensiero, isolandosi in uno stato semi vegetativo. Proprio lo vedevi, seduto e immobile a fissare il vuoto, con gli occhi semichiusi ed il naso arricciato su cui posavano rossi occhiali tondi, mentre tutto intorno a lui scorreva senza sosta. Ed infine  Loris, un ragazzo molto strano, ma forse è meglio non parlarne. Insieme loro formavano un gruppo, il gruppo. Sette guerrieri dell'armata celeste, sette angeli  in missione per conto di Dio, sette demoni spietati e malvagi. E tutti e sette amavano una sola cosa: la vita. Da tempo si muovevano per cercare di organizzare un viaggio, ma non riuscivano mai a far conciliare i diversi  giorni festivi. Mai, fino all'estate 2000. Finalmente trovarono una settimana libera per tutti a fine Luglio, e decisero di approfiattarne per andare in Toscana. Si trovarono alle due di pomeriggio in stazione a Milano, carichi di adrelina e grandi speranze. Si divisero equamente su due macchine e partirono. Sorridevano, sorridevano tutti. Si sentivano liberi, giovani e forti, invincibili. Sfrecciavano spienserati sulla A12 incidendo sulle pagine del tempo il loro passaggio e cantavano al mondo immortali speranze. La vita sembrava più leggera d'un battito d'ali e dolce e spietata si spargeva nell'aria l'illusione d'eterno trionfo. Ale osservava il paesaggio che scorreva veloce fuori dal finestrino e lasciava che qualsiasi preoccupazione e qualsiasi dolore si perdessero con quello dietro le sue spalle. Tino aveva già convalidato il biglietto di sola andata per il mondo dei sogni e nella testa di Chicco il problema dell'immigrazione in Italia non trovava più spazio. Tommy non aveva più lo sguardo perso nel vuoto, i suoi occhi brillavano di una luce intensa. Fabio e Fede salutavano da lontano algoritmi e bilanci per dedicarsi completamente al mondo delle idee. Loris...beh, Loris lasciamo stare. Arrivarono a destinazione in un tempo più breve del previsto e dopo aver posato le valigie nelle camere del residence decisero di dirigersi subito verso la spiaggia. Tommy si era preoccupato di portare un ombrellone per ripararsi dal caldo sole che bolliva nel cielo, Tino aveva con sé una crema solare di altissima protezione per la sua delicata pelle bianca, mentre gli altri tenevano in mano sigarette e teli da mare. La spiaggia era deserta, forse perchè erano le sette di sera. Tommy gettò l'ombrellone per terra e lo stesso fece Tino con la crema solare, gli altri stesero sulla sabbia i teli e si sdraiarono. Fissavano tutti il cielo, un cielo che stava perdendo la luce, un cielo che si preparava alla notte, un cielo che li accoglieva nella sua immensità. Nessuno aprì bocca. Si sentivano solo le onde che timidamente cullavano i sette ragazzi nella loro instancabile dolcezza. I brividi. Tutti erano completamente catturati da quei maledetti brividi che portano a spiccare il volo, che incitano a sognare, che gettano in una terra di infinita perfezione.  Così rimasero per ore lì,  in silenzio, fino al calare della notte, a succhiare insieme l'anima della vita fino al midollo.

Mr.Spens

domenica 16 gennaio 2011

..una sconosciuta..

Mentre Thomas camminava in direzione del locale il suo sguardo cadde su un vecchio palazzo dall'intonaco scrostato, che s'affacciava sulla via. La struttura gli ricordava tanto la catapecchia che aveva ospitato la sua vita da studente e gli tornò alla mente una bravata fatta con degli amici,  trasformatasi con il tempo nell'aneddoto preferito del gruppo, raccontato durante le chiassose rimpatriate, ogni volta con l'apporto di nuovi e vividi particolari, tanto che, come talvolta accade nella tradizione orale delle grandi gesta, aveva perso la sua originaria valenza terrena per essere sublimato in mito. Con essa riapparve anche l'immagine del volto livido del padrone di casa, un uomo tozzo e unto che mal sopportava gli entusiasmi giovanili, ed era tanto fresca e limpida che, al contrario della reazione di allora, quasi lo fece ridere da solo, in virtù del potere del senno del poi. Quando aprì la porta del locale si trascinò dietro una folata d'aria gelida, che fece svolazzare, tra gli imprechi dei giocatori seduti al tavolo, un re di denari adagiato imperioso in cima alla pila delle carte. Thomas srotolò con un ampio gesto la sciarpa dal collo e dopo essersi accomodato su uno sgabello al banco, ordinò da bere. Osservava la grazia dei movimenti esperti del barista, che seguivano il tracciato ben solcato dell'abitudine, così monotono, eppure così rassicurante. Il locale era gremito di gente affaccendata a godersi pienamente le ultime ore della giornata, ma in mezzo a quella baraonda di corpi e anime, solamente uno di questi particolari binomi attirò la sua attenzione. Aveva capelli biondi raccolti in una coda e i suoi occhi d'ambra vagavano persi dietro chissà quali pensieri. La ragazza era molto bella, sebbene lui prediligesse maggiormente i caratteri mediterranei. Guardandola di tanto in tanto, attento a non farsi notare, sempre più convinto che quella dea non avesse nulla da spartire con lui, si passò stancamente le mani sul volto stropicciato dalla stanchezza della sera, e d'improvviso visualizzò distintamente un'immagine. L'aveva ben presente, era un quadro che aveva visto pochi giorni prima sfogliando un manuale d'arte, e riprendeva integralmente la situazione e lo stato d'animo in cui egli versava. Il dipinto appariva identico all'originale, vi era raffigurato un locale dalle grandi vetrate, che permettevano ai passanti di spiare gli ospiti e le loro attività. Nella notte i lampioni piangevano luce gialla sulla strada deserta, e gli unici clienti del locale, la cui grande insegna si stagliava magnificamente sulla parte superiore della tavola, erano una coppia, una donna che indossava uno splendido vestito rosso come i suoi capelli e il suo accompagnatore, con i quali il barista si intratteneva, e un uomo solitario. Un solo particolare pareva differire e Thomas, come per confermare quel dubbio che l'aveva incuriosito, accostandosi al quadro per apprezzarne meglio i dettagli, stupefatto, riconobbe se stesso nei tratti dell' uomo solitario. Proprio mentre stava allungando la mano per toccare la tela e, in un certo modo, per appropriarsi di quell'altro sè, si sentì toccare la spalla, e il contatto fisico lo strappò via dalle braccia dell'immaginazione, facendolo tornare alla realtà. Quando riacquisì consapevolezza della propria materialità, si trovò di fronte la magnifica ragazza che stava guardando da quando era entrato. Gli chiese, esibendo un sorriso dolce e caldo, se il posto accanto al suo fosse occupato. Thomas non ebbe la prontezza di formulare una risposta di senso compiuto, perchè la sorpresa di quell'incontro e il sorriso di lei gli annebbiavano la mente, così riuscì solo a mugugnare qualcosa che somigliava vagamente ad un invito a sedersi. La ragazza rise garbatamente e interpretò quelle sillabe confuse nel modo desiderato, e prese posto.

Dr.Sax

venerdì 14 gennaio 2011

Gli occhi dell'anima..

Camminava, lasciandosi alle spalle malinconiche impronte sull'umida sabbia. Teneva le braccia incrociate dietro la schiena, e una sigaretta accesa tra le labbra che sapevano ancora di sale. La tenera luce delle sette di sera si nasondeva timidamente all'orizzonte, e Peter seguiva il  tragitto che il volo d'un bianco gabbiano tracciava dinanzi a lui, perdendosi nel dolce suono delle onde. Frasi, parole, pensieri confusi iniziavano a rimbombare nella mente del ragazzo che nient'altro voleva se non godersi un attimo con il mondo. Ma quell'attimo diventò un secondo, un minuto, un'ora, un' eterna quantità di tempo che nessuno mai potrà cancellare dalle memorie della vita. Si, perchè tutto ciò che facciamo, tutto ciò che creiamo, tutto ciò che siamo, rimarrà scritto per sempre nelle pagine del tempo che trascina ogni cosa nella sua interminabile costanza. E lui, l'inesorabile che scorre e non si può fermare, vive dentro di noi, noi siamo tempo. Così fuggente, così breve ma senza fine, così tremendo e così sovrano. La nostra storia è incisa nell'essere e così rimarrà per sempre. Il sole aveva ormai lasciato spazio alla splendente Luna e alle sorelle stelle che pitturavano il buio cielo con la loro luminosa essenza. Peter non si era ancora fermato, continuava a vagare per la spiaggia senza intenzione alcuna, privo di qualsiasi obiettivo. E la sua anima viaggiava. Viaggiava per i più lontani spazi, per le più esotiche terre, per i più piacevoli sogni. Il potere delle illusioni. S'immaginava in un eterno mondo senza dolore, senza sofferenza alcuna, felice. E il battito del suo cuore accelerava per ogni respiro che si faceva sempre più intenso, sempre più profondo. S'immaginava immortale, invincibile, un poeta della vita, un artista del mondo. Dipingeva nei pensieri le più belle emozioni che un'esistenza può offrire. La pura e fresca bellezza della donna, l'interminabile sguardo a contemplar gli occhi dell'amore, il magico attimo in cui lo spirito si riconcilia con l'universo: e si fondeva con l'acqua e respirava il mare. Correvano veloci le vecchie stagioni e le illusorie speranze che lui  inseguiva in una corsa affannata e senza tregua. Non conosceva stanchezza l'immaginazione. E più sognava e più correva,  meno la realtà si faceva spazio tra le sue paure. Un intimo gioco d'alchimia e d'attimi fuggenti che un uomo, solo con se stesso, conduce nei più profondi angoli della propria indole. Ma ecco che s'intrufola la malvagia realtà della vita, l'insostenibile pesantezza del fato. Siamo anime vaganti in una terra infnita, ma siamo purtroppo anime finite. Arriverà il momento in cui ciascuno di noi tirerà le somme su ciò che è stato, su ciò che ha fatto, su ciò che per altri è significato averlo al proprio fianco, su ciò che rimarrà di lui nell'inifità del tempo. E allora rimpiangerà le occasioni sprecate, i baci non dati, le parole mai dette, le emozioni mai provate. Vivere è un'esperienza da non perdersi e chi ha la fortuna di custodire tale dono non lo sprechi in frivole distrazioni, in comode apparenze, in povere esperienze. Si lasci trasportare dalla tempesta di passioni che scaldano questo gelido corpo, si lasci sconvolgere dal potere delle illusioni, perchè abbiamo una sola opportunità per giocare con il mondo, non sprechiamola. S'abbandoni ai più vivaci desideri senza badare alle infime preoccupazioni che incalzano solenni durante il viaggio, viva a pieno ogni istante che gli vien concesso, e contiui a sognare perchè nei sogni l'uomo ritrova una ragion d'essere. Un fresco venticello iniziò a soffiare sfiorando la pelle di Peter che ormai stremato decise di sedersi su uno scoglio vicino alla riva. Fissò l'orizzonte e i magici brividi che dominavano il suo corpo spinsero l'anima in cielo  fino a toccare le stelle: si sentiva libero.  Così si stese sulla roccia che gli pareva più morbida d'un cuscino, e chiuse gli occhi nella dolce illusione di vivere in un sogno.

Mr.Spens

sabato 8 gennaio 2011

Un gelido vento.

 Era il 19 ottobre del 1998 e fuori dalla finestra di casa Layman, alle porte di un bosco, un'orchestra di tuoni e di fulmini accompagnava l'incessante tempesta nella sua crudele maestosità. Pioggia tagliente come lama d'una spada, cielo scuro e più buio della notte,  soffi di vento più freddi del ghiaccio, alberi piegati come fiori assopiti. La Luna dormiva a luce spenta, e le sorelle Stelle eran nascoste per la paura. Peter leggeva un libro sdraiato sul divano, scaldato dalle fiamme del fuoco del camino che ardevano dinanzi a lui. I suoi genitori non erano in casa, avevano una rimpatriata in città con vecchi compagni di liceo; il fratello maggiore non abitava più con loro già da due anni, e Peter ne soffriva la mancanza. Era triste, e cercava conforto nelle parole di celebri autori. Durante la lettura la mente si apriva verso interminabili spazi ed illimitati confini, allontanadosi per un attimo dalla realtà, così matrigna da spazzar  via ogni speranza come una folata d'un gelido vento . Era arrivato a pagina 15 dell'opera quando, dal piano superiore, sentì un rumore simile a quello che provoca lo schioccar di dita. Una volta, due volte, tre. Il rumore si faceva sempre più forte e intenso, e sempre più ripetitivo. Entrò in crisi, non sapeva che fare, non sapeva come gestire la situazione. Il battito del cuore si faceva sempre più veloce, le gambe tremavano come se colpite da una grande carica elettrica, la mente non riusciva a trovar rimedio alla sensazione di terrore. Vide una scarpa sulle scale che portavano di sopra, una ballerina, rosa. E dal  piano superiore ne fu lanciata un'altra, che si fermò ai piedi della rampa. Peter era in panico. Lentamente sul primo e sul secondo gradino scesero dei piedi, bianchissimi, e a seguire lunghe cosce magre coperte per metà da una gonna rosa. Al terzo e al quarto gradino si mostrò anche il busto, nascosto nel bianco di una stretta maglietta; e le mani, le cui dita continuavano a schioccare. Al quinto gradino i piedi si fermarono . Si intravedeva solo il collo abbellito da una collana di perle che cadeva sul seno, e le punte di lisci capelli castani che toccavano le spalle. ''Non ci credo'', sussurrò Peter, ''non ci credo che sei davvero tu, è ormai da più di un anno che te ne sei andata''. ''Peter ti ricordi quando mi portasti al parco quella mattina, e mentre mi spingevi sull'altalena ripetevi di amarmi più d'ogni altra cosa?'', disse la ragazza. ''Come potrei dimenticarlo. Portavi gli stessi vestiti che indossi ora, e la tua bellezza faceva invidia a Venere'', rispose lui. ''Ecco, io non ho mai risposto alle tue dolci parole. Ogni volta che confessavi il tuo amore il battito del mio cuore si faceva sempre più veloce, le gambe tremavano come se colpite da una grande carica elettrica, la mente non riusciva a trovar rimedio alla sensazione di paura. Ma adesso amore mio, voglio dirti...''. La porta si aprì e una folata di gelido vento spense il fuoco del camino. ''Peter! Peter siamo tornati!'', si sentì gridare nella stanza. Peter aprì gli occhi, e stiracchiandosi schioccò le dita. Faticosamente si alzò e pose il libro  sul tavolo di fianco al divano, tracciando un segno a pagina 15.

Che può dire un narratore alla fine di un racconto. Spiegar non gli è concesso, aiutar neppur se gli vien chiesto, allora a voi lettori  il compito di capire e interpretare.

Mr.Spens

lunedì 3 gennaio 2011

..uno sconosciuto..

La porta si aprì, come molte altre volte era già accaduto quella sera, e anche questa volta Serena non fu risparmiata dalla corrente gelida che le fece correre i brividi lungo tutta la schiena. Lanciò uno sguardo rapido all'ingresso, per controllare se lo sconosciuto dalla sciarpa voluminosa e dall'aria infreddolita fosse qualcuno di sua conoscenza. Serena abita all'ultimo piano di un palazzo fatiscente, dove vengono affittate polverose e male illuminate stanze a poco prezzo agli studenti fuori sede, e quella sera si era recata al bar per scappare da una sensazione ormai familiare di soffocamento, alla quale tuttavia non si abituava mai. Così, dopo un bicchiere di vino e una breve chiaccherata con una vecchia amica in compagnia del suo ragazzo, incontrata per caso, quella mano invisibile che le stritolava lo stomaco aveva allentato la presa. Cercava in un ulteriore contatto umano il salvifico conforto che talvolta recano le parole, ma rimase un pò delusa quando realizzò di non conoscere l'uomo, che nel frattempo si era seduto al bancone e si stava slacciando il cappotto. Per Serena è stata una giornata grigia. Una giornata può avere molte sfumature di colore, dai toni accesi e radiosi oppure cupi e spenti. In entrambi i casi quei colori si ottengono dalla mistura di emozioni diverse, che tutte insieme spremiamo dai loro tubetti sulla tavolozza policromatica del sentire, nella quale intingiamo il pennello con cui poi dipingiamo la tela della vita. Le giornate grigie invece offrono sulla tavolozza solo una sensazione acquosa con cui arricchire il colore, tutte le altre sono improvvisamente secche, sgretolate e inutilizzabili nei loro tubetti arricciati dal consumo. Durante i giorni grigi Serena non dipinge, se ne sta immobile a spaziare con gli occhi la tela della vita senza apportarvi un cambiamento o macchiarla con la più piccola chiazza. Diviene schiava dei ricordi, i muscoli s'atrofizzano e così il pensiero, congelati nella più totale incapacità d'agire. Serena accostò con naturalezza le labbra al bicchiere, come per dissimulare l'assalto del vuoto che le dominava l'animo, e prese un lungo sorso di vino rubino che scivolava fluidamente sulla superficie vitrea. Pensava a quanto le sarebbe piaciuto riappropriarsi della sua fluidità, riuscendo in questo modo a scorrere sui cocci taglienti della realtà senza provare dolore. L'uomo con il cappotto era ancora lì e di tanto in tanto guardava verso di lei, convinto che non se ne accorgesse. Serena per un certo tempo, avvolta com'era nei suoi pensieri, si era dimenticata di lui. Poi osservandolo senza farsi notare, discretamente e intimamente come solo le donne sanno fare, si accorse della sua presenza nella stanza, diversa da tutte le altre. L'uomo non parlava con nessuno e il suo sguardo non abbracciava altro che il bicchiere che aveva davanti e lei. Non l'aveva ancora visto sorridere. La mano invisibile aveva lasciato definitivamente la presa. Si stava facendo strada in lei l'idea di donarglielo, un sorriso. Cullata dal piacere di questo senso quasi materno, sorseggiò l'ultimo vino e si alzò.

(n.d.a. ringrazio Veronica F. per l'ispirazione "colorata" del suo scritto  http://www.alelep.it/ )

Dr.Sax